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venerdì 10 luglio 2015

Film Review: Nymphomaniac

Ho finalmente visto Nymphomaniac e ne parlerò brevemente qui considerandolo un'opera unica, dato che è nata come tale ed è stata successivamente divisa in due, tra tagli e censure varie, per motivi di durata (e probabilmente anche a scopi commerciali per aumentare l'hype, ma tant'è).

Di Lars von Trier ho visto solo la cosiddetta Depression Trilogy: Antichrist mi ha fatto cagare, Melancholia l'ho adorato e visto un sacco di volte e ora ho visto Nymphomaniac. E l'ho amato.
Ho trovato questo film un'opera femminista, un grande vaffanculo alla società maschilista e misogina. Sinceramente ho sentito commenti sconcertanti su von Trier, non che me ne freghi più di tanto, ma sicuramente non può essere considerato un misogino e/o maschilista, come ho sentito dire in giro. Anzi, nella Depression Trilogy traspare proprio tutto il contrario.

Joe, la protagonista incarnata da Stacy Martin (che ho assolutamente amato) e poi da Charlotte Gainsbourg (una garanzia di talento, in tutti i campi), è la protagonista di questo film che può essere considerato: erotico per le scene di sesso esplicito, comico per i commenti naive ma sempre azzeccati di Seligman, l'ascoltatore, e infine drammatico per le tematiche trattate.

Dal punto di vista tecnico ci troviamo davanti alla divisione in capitoli per niente nuova nel cinema di von Trier, e a uno stile scenografico minimale e "anonimo". L'azione potrebbe svolgersi in una qualsiasi città europea, non ha niente di particolare se non quell'atmosfera tipica delle città del vecchio continente.

Quello che più ho apprezzato del film, a parte la schiettezza e la semplicità narrativa, è che come dicevo all'inizio, è un grande dito medio alla società. Joe è una persona sincera che con fatica è riuscita a trovare la pace interiore e ad accettare con orgoglio il proprio essere, ovvero una persona dipendente dal sesso. Anzi, una donna dipendente dal sesso. Che in quanto tale viene considerata una peccatrice, una outsider che per poter trovare il proprio posto nella società ordinaria deve essere necessariamente guarita. Fortunatamente, capisce col tempo e col dolore provato sulla pelle, il suo valore e la sua utilità (certo, il suo "lavoro" non sarà proprio etico ma c'è di peggio).

Il tutto viene commentato dall'ascoltatore Seligman, un vecchio solitario che si definisce asessuato e che stupisce Joe trovando sempre una giustificazione ai suoi comportamenti: tutto può essere considerato normale se comparato con la pesca, con la religione, con la musica o se nella storia della letteratura c'è un esempio simile, che fa sentire Joe meno sola, meno fuori luogo. Ma ecco che arriva il grande vaffanculo. Proprio quando Joe si addormenta, stanca ma contenta di aver trovato una persona che finalmente non la giudichi per quello che è, Seligman esce dalla stanza per lasciarla dormire; tuttavia, la telecamera indugia troppo sulla porta richiusa alle sue spalle.

Questo ovviamente ci fa capire che il film non è finito con la fine del racconto in capitoli della vita di Joe. Seligman rientra e dimostra di non essere un amico, di non essere asessuato e, alla fine dei conti, di non aver capito assolutamente niente di Joe e della sua vita. Si dimostra esattamente come tutti gli altri che l'hanno considerata una troia perchè ninfomane e quindi nella sua logica maschilista pensa che essere un altro dei tanti vada bene, trovando giustificazione nel fatto che Joe s'è scopata "centinaia di uomini".

E invece no, caro Seligman, cara società. Devi morire. La ninfomane ha finalmente capito: nessuno, e men che meno un uomo,sarà mai dalla sua parte o la capirà in maniera sincera. Nessuno capisce, nessuno sa. Ma tutti si permettono di giudicare e di tirare delle conclusioni sbagliate. E quindi l'ultimo atto deve per forza essere quello di uccidere l'ultimo di una lunga lista di giudicatori della sua vita di ninfomane.

Certo, si può anche vedere Nymphomaniac come scrisse Cannibal Kid, ovvero come una rivincita da parte di Lars al suo essere "persona non gradita" dopo le affermazioni ambigue a Cannes nel 2011. Ma a me piace vederlo come un ritratto della condizione della donna del XXI secolo, costantemente giudicata per un peccato che è tale solo quando commesso dall'universo femminile.