Cerca nel blog

venerdì 2 agosto 2019

Series Review: The OA - Part II

Sono mesi che scrivo e riscrivo cose riguardo la parte seconda di una delle mie serie preferite del momento e di sempre, The OA. Ho provato e riprovato a fare una sorta di introduzione in cui riassumo un po' quello che succede nella serie, accorgendomi sempre di più che era una missione impossibile farlo se non essendo molto sbrigativi e tralasciando molti subplots che però sono ugualmente importanti. Inoltre risulta impossibile essere poco prolissi, rischiando quindi di fare un resoconto troppo minuzioso di ogni singolo episodio, in cui succedono sempre molte cose.

Quello che Brit Marling e Zal Batmanglij hanno creato è letteralmente un universo, parallelo al nostro, in cui tanto di quello che vediamo è estremamente poco casuale e in cui ogni singola cosa ha un significato, una funzione, un rimando a qualcos'altro. Se l'atmosfera nella Parte I (uscita, ve lo ricordo, ormai nel 2016) era cupa, con una fotografia desaturizzata, qui invece veniamo catapultati in una San Francisco coloratissima e vivace. Non so spiegarvi realmente il perché, ma nella Parte II si ha da subito la sensazione di non essere nella stessa realtà, nella stessa dimensione della stagione scorsa. E non intendo solo per il cambio di ambientazione: c'è già qualcosa di profondamente diverso dai primi minuti della prima puntata. Innanzitutto ci viene subito presentato un nuovo personaggio: Karim Washington, un detective privato che viene ingaggiato da un'anziana signora vietnamita che lo ingaggia per ritrovare la nipote scomparsa.

Se nella Parte I tutto era visto attraverso gli occhi di Prairie e raccontato dal suo unico punto di vista che, nell'ultima puntata, veniva totalmente messo in discussione, qui invece ci ritroviamo fin da subito a dover conoscere un nuovo personaggio e, col proseguire delle puntate, vediamo come ci siano tre filoni narrativi che poi andranno ad incontrarsi nel climax dell'ultima puntata. Abbiamo dunque Karim con la sua ricerca di Michelle che lo porta a scontrarsi con una realtà piuttosto distorta in cui un magnate di San Francisco riesce a coinvolgere dei ragazzini tramite un app per sviluppare il suo progetto; poi ritroviamo la nostra protagonista Prairie che, tuttavia, non è più lei perché in questa realtà è nata e rimasta Nina Azarova, compagna del magnate del web su cui Karim sta indagando e che si ritroverà ancora una volta prigioniera del dottor Hap insieme ai suoi vecchi compagni di prigionia; e infine, nella realtà parallela, ritroviamo i ragazzi di Crestwood che non riescono più ad andare avanti normalmente nella loro vita dopo essere sopravvissuti al mass shooting della loro scuola.



Una delle caratteristiche più belle e intriganti di questa serie è quella di trovare indizi e rimandi in ogni frame: non solo in questa stagione cerchiamo di seguire Karim nelle sue indagini e trovare un senso a tutto quello che scopre di volta in volta, ma vediamo anche tutte le connessioni con la stagione precedente (l'ospedale psichiatrico di Treasure Island di cui Hap è capo non è altro che l'ambientazione della near death experience che Homer aveva avuto durante la prigionia nell'altra dimensione). Ammetto che seguire gli eventi di questa stagione, visto che è stata messa tanta carne al fuoco rispetto alla stagione precedente, sia stata un'impresa e che ho avuto bisogno di rivedere la serie un paio di volte per afferrare qualche passaggio che ad una prima visione mi era sfuggito (ad esempio, tanto per farvi capire quanto io possa essere superficiale, ho notato che nella 2x05 dopo che Homer ha un sogno -premonitore?- di lui che cerca la pelle di OA, si sveglia con una visibile erezione e da lì in poi guarderà Nina/OA sotto una luce diversa). Ma, onestamente, ero contenta di rivederla e rivederla perché The OA è una serie che fa pensare, che fa riflettere e, cosa molto importante, è molto emotiva. I personaggi, inoltre, sono molto sfaccettati perché anche Hap (che è il cattivo della situazione) può essere compreso: probabilmente nella sua situazione anche noi sceglieremmo di sfruttare le persone per arrivare a capire come è formato il multiverso, soprattutto una volta che si trova il metodo per cambiare dimensione.



Parliamo brevemente dell'episodio finale. Giuro che la prima volta che l'ho visto sono rimasta letteralmente sconvolta per circa un'ora anche dopo che era finito. E' chiaro che la dimensione in cui OA è arrivata insieme a Hap sia la near death experience di Scott, ma il solo fatto di aver pensato di utilizzare la nostra reale dimensione (anche se non coincide del tutto perché Brit Marling e Jason Isaacs non sono sposati) come setting per la prossima stagione è geniale, contorto e assolutamente intrigante. Quando ho sentito Jason Isaacs parlare col suo vero accento britannico ho avuto un momento di perdizione e non ci stavo più capendo niente. Netflix non ha ancora rinnovato The OA per la terza stagione ma io spero che lo facciano. Onestamente il mondo dello spettacolo ha bisogno di gente come Brit Marling e Zal Batmanglij che sanno dare vita a storie accattivanti ma allo stesso tempo profonde e intrise di significato che ci fanno sempre un po' riflettere sul senso dell'esistenza terrena.


2 commenti:

  1. Anche a me è piaciuta molto, è la serie prodotta da NETFLIX a cui sono più legato! Purtroppo non rinnoveranno la terza stagione da quanto appreso dalle notizie dell'ultima settimana.
    Se non l'hai ancora visto ti consiglio vi vedere il loro film "Sound of My Voice" è molto interessante.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao! Purtroppo ho letto della cancellazione :( Sound of my voice l'ho visto e mi è piaciuto! Devo recuperare I, origins e The East sempre del duo Marling-Batmanglij!

      Elimina